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L'antico mulino ad acqua delle  Mole Di Vito

Forse l'ultimo della Valle di Comino

 

di Aldo Venturini

 Sono stato sulla macchina del tempo. Alla guida c’era Filippo Volante – Di Vito, un amico che abita in una frazione del comune di Picinisco che ha preso il nome dai suoi antenati: Le mole Di Vito.

Assieme ad altre quattro famiglie è proprietario di una società che gestisce un antico mulino ad acqua.

Rinnovata nel 1811, questa società lo era già stata nel 1754 e prima ancora nel 1600.

I documenti non vanno oltre ma la profondità degli occhi azzurri di Filippo lascia intravedere che quel pezzetto di mondo gli appartenga da sempre.

Preso un secchio di granturco dal granaio, mi porta poco vicino alla sua grande casa, dove sorge un mulino acquattato sulla riva del fiume Melfa, laddove esiste un certo dislivello.

Uno stretto canale artificiale convoglia l’acqua sull’unica ruota idraulica, ancora funzionante, impiantata sotto il mulino.

Filippo, dopo aver aperto la porta stridula, riempie un piccolo serbatoio (tramoggia) sopra la macina.

Il mulino è lì fermo come su di un trono.

Gli ultimi gnomi che si sono attardati, incuriositi dalla mia presenza, scompaiono dietro le macine dismesse in fondo alla sala.

Ci siamo.

Filippo, con la sacralità di una liturgia antica, rimuove la saracinesca di legno che si frappone tra l’acqua e la ruota idraulica.

Muove, poi, gradualmente una vite che distanzia la macina mobile da quella fissa ed è subito movimento.

I chicchi di granturco scendono gradualmente nella bocca della macina mobile e vanno ad essere stritolati, frantumati tra le due pietre in movimento.

La farina ottenuta si raccoglie nelle scalanature scolpite sulla pietra ed il movimento rotatorio la porta a cadere in un recipiente di legno.

In Europa, l’uso dei mulini ad acqua iniziò verso l’anno mille.

Furono i monaci benedettini che ne diffusero capillarmente l’utilizzo .L’utilizzo dell’energia idraulica, al posto di quella animale o umana, permise un aumento della produttività senza precedenti.

Un mulino ad acqua può macinare 150kg di grano in un’ora equivalente al lavoro di quaranta schiavi.

Con l’avvento dell’energia elettrica agli inizi del novecento, il motore elettrico soppiantò il mulino ad acqua.

Gli undici mulini che ancora sopravvivevano lungo il fiume Melfa furono dismessi.

Negli anni cinquanta anche le tre macine del mulino Di Vito.

Si fermò per prima la macina di granito francese con cui si otteneva una notevole raffinatura, poi quelle di granito della cava di Pofi.

La tramoggia è vuota, Filippo ghigliottina il flusso d’acqua lasciando calare la saracinesca di legno.

Il vecchio pavimento in tavolato di quercia ha un sussulto breve, gli ultimi cigolii della macina affogano nel rumore d’acqua che scorre nel letto del grande fiume.

Tutto si ferma.

Fuori sta scendendo la sera.

Nuvoloni bassi rimangono impigliati tra le querce del bosco di Castellone e Picinisco, in alto, appollaiato come un condor sulle pendici del Meta, occhieggia con le sue luci giallo periferia.

Il thè offerto dalla moglie Sandra Cucco e il sorriso delle graziose figliole, Maria Laura e Giulia, mi riscaldano dentro.

Mentre mi allontano in macchina, Filippo scompare dietro l’angolo per andare ad accudire la sua arca di Noè.

Forse sbaglio, ma anche nello spot televisivo, attorno alla casa del” Mulino Bianco “ci sono degli animali!!!

 

22 dicembre 2009

Santa Francesca Cabrini

Aldo Venturini