Delia ci racconta delle sue prime esperienze di giovane emigrata a Stamford.  Di racconti come quello che segue ne saranno presentati diversi, a cadenza piu' o meno settimanale.  Come gia` avevamo avuto modo di dire questi brevi testi di Delia hanno molta freschezza, sono molto genuini, aiutano a capire i problemi di ambientamento in America dei nostri emigrati;  oltre ad essere di piacevole lettura sono una testimonianza che si rivelera` sempre' piu' importante man mano che gli anni trascorrono e l'approccio dei settefratesi al nuovo mondo si fa piu' spigliato, meno problematico. Piu' in la' ,quando  gli scritti saranno piu' numerosi e assumeranno piu' corpo, li riproporremo in una struttura unica,  per consegnarli ai paesani per quello che essi certamente sono e meritano di essere considerati: un documento sincero di una giovane emigrata aperta al nuovo mondo ma mai dimentica del piccolo mondo di partenza,  di Settefrati.  Il  forte senso della comunita' di appartenenza che permea gli scritti che si propongono ha indotto Delia a servire la comunita` stessa con amore autentico, spesso come organizzatrice ed animatrice di eventi conviviali; la stessa Delia che organizza ogni anno feste per i nostri bambini e  incontri culturali o contest dei vini homemade  in questo caso e` narratrice della vita dei settefratesi in America:  un po' di storia ed un po' di poesia,  tanta semplicita` e sincerita`,  e comunque  puri  atti  d'amore per il proprio popolo.  (By the way... i racconti di Delia ... , e giusto ieri parlavamo di una poetessa di origine settefratese,  ed ogni tanto arriva qualche  poesia da pubblicare:  sogno o son desto?  ) Grazie Delia. 9 gennaio 2008

 

 

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AMBIENTARSI

 

L’ambientamento nella nuova citta’ , nella nuova terra andava avanti con regolarita’.  Nato dalla necessita’ di andare e venire dove la vita quotidiana richiedeva , senza eccessivamente disturbare i parenti che ci  ospitavano e gia' facevano tanto per noi. Ci spingeva anche la curiosita’ di scoprire questa nuova citta’ cosi diversa dal nostro paese.

Non per caso i paesani abitavano nella stessa zona chiamata  West Side. Era in quella parte centrale della citta’ ove i primi emigrati italiani si erano stabiliti  e quando siamo arrivati noi,  con l'afflusso dell’emigrazione del dopo guerra abbiamo trovata una societa’ costituita  e organizzata.

 Nella West Side  si erano aperti piccoli negozi di salumeria  e generi alimentari dove i proprietari parlavano un dialetto strano, un miscuglio tra parole americane mal pronunciate e parole derivate da dialetti di ogni regione dell’Italia Settentrionale. Per esempio le due anziane sorelle che gestivano un negozio di generi alimentari erano di origine italiana nate in America. Ma per agevolare la nuova clientela si sforzavano di parlare quel che chiamavano “taliane”. In negozio quando ci vedevano entrare ci accoglievano con un “bon giorn commo sta?”. Noi ci davamo occhiate  sottintese e deridevamo le brave donne per quel dialetto di nessun paese.

Poi per  far vedere come  NOI avevamo imparato  subito rispondevamo: ”gud moni” ; le donne non ridevano del nostro storpiato “good morning”. La domenica pomeriggio, con le amiche ci incontravamo per fare passeggiate ed esplorare i dintorni del nostro vicinato. Spesso spinte dall’euforia del momento ci inoltravamo per strade e vicoli poco conosciuti. Poi ci si smarriva e ci prendeva il panico. Qualche passante se ne accorgeva  e ci indicava la via del ritorno. Fu cosi che scoprimmo anche un bel parco non lontano dalle nostre abitazioni. Era frequentato da ragazzi della stessa nostra eta’. Divento’ subito  il luogo d’incontro per la domenica pomeriggio. Conoscemmo altri ragazzi italiani provenienti da altri paesi e provincie. Cominciarono a nascere simpatie e rapporti amichevoli. Io ne parlavo con mia zia, lei mi diceva che andava bene parlare all’aperto con i  ragazzi  ma  di non appartarmi con nessuno.

Quando ci sentivano piu’ avventuriere andavamo al cinema.

Ma per andare al cinema era necessario il permesso delle zie. Erano tutte uguali le  nostre zie davano il permesso solo dopo aversi assicurate che saremmo andate insieme e tornate insieme e solo noi girls,  non i boys. Al cinema la pellicola si proiettava di continuo. Potevamo restare quando volevamo con lo stesso biglietto d’entrata. Ognuna pagava il proprio biglietto, poi mettevamo  i soldini insieme e compravamo un pacchetto di chewing gum  e le dividevamo. Dentro ci accomodavamo nelle poltrone di velluto rosso e blu a vedere il film  masticando chewing gum proprio come i giovani americani.

Forse era  quel senso di appartenenza presente nei giovani che ci spingeva all’americanizzazione anche senza il nostro conscio assenso. La passeggiata, il cinema e la chewing gum e le nuove amicizie era tutto nuovo e molto  eccitante. Se non fosse stata per la nostalgia del paese e la mancanza della mamma la vita sarebbe stata bella. 

 

Delia Socci Skidmore

 

 

 9 gennaio 2008

 

 

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